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Indica la tendenza a considerare l'uomo al centro e tutta la realtà non umana a lui funzionale; è sicuramente il più grosso ostacolo per capire l'alterità animale e parimenti per comprendere l'apporto referenziale che gli animali hanno dato e danno all'uomo per la
strutturazione della sua identità (per capire cioè la zooantropologia); possiamo dividerlo in:
a) antropocentrismo ontologico, vale a dire ritenere l'uomo un'entità totalmente separata dal mondo e che costruisce il suo profilo per disgiunzione e per emancipazione dalle alterità animali, dove si nega o comunque si neglige l'apporto della referenza animale;
b) antropocentrismo epistemologico, vale a dire ritenere l'uomo misura e sussunzione del mondo, ovvero ritenere le sue caratteristiche di interfaccia al mondo degli assoluti, dove si rende difficile la comprensione della diversità animale;
c) antropocentrismo etico, vale a dire ritenere solo l'uomo degno di attenzione morale e portatore pertanto di diritti inerenti che sollecitano una riflessione sulla condotta, dove si ritiene che l'animale sia solo mezzo per l'uomo.
L'antropocentrismo nega all'animale il carattere di alterità:
a) lo stato di soggetto ovvero di entità attiva e dialogica;
b) lo stato di diversità ovvero di entità portatrice di una prospettiva diversa;
c) lo stato di singolarità, ovvero di posizionamento nel qui e ora.
L'antropocentrismo è causa delle due forme più comuni di negazione dell'alterità animale:
1) la reificazione, dove l'eterospecifico viene interpretato per opposizione all'uomo;
2) l'antropomorfizzazione, dove l'eterospecifico viene interpretato per assimilazione all'uomo.
In entrambe di queste visioni si viene a perdere il significato dialogico dell'animale:
a) nella reificazione l'animale trasformato in oggetto non può avere quello status di soggetto requisito essenziale per poter dialogare;
b) nell'antropomorfizzazione l'animale privato delle sue caratteristiche non può esprimere i suoi contenuti.